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Deprogrammazioni in Corea: testimonianza di Ms Bae Gyun Hee

COMUNICATI

I Comunicati Stampa del Centro Studi LIREC

Deprogrammazioni in Corea: testimonianza di Ms Bae Gyun Hee

Raffaella Di Marzio

Commento all’intervista di Raffaella Di Marzio a Ms Bae Gyun Hee, una fedele della Chiesa di Shincheonji, sulla duplice deprogrammazione di cui è stata vittima nel 2015 e 2018.


Raffaella Di Marzio

Direttrice del Centro Studi sulla Libertà di Religione Credo e Coscienza

 

Ringraziamo Mauro Bombieri, membro del Comitato Scientifico di LIREC, per l’importante contributo dato a questa iniziativa.


Introduzione

La pratica della  deprogrammazione è un crimine perpetrato a danno di giovani vittime colpevoli di appartenere a gruppi religiosi e chiese di varia matrice considerate “sette” dalle chiese maggioritarie, diffuse nei paesi coinvolti.

La deprogrammazione, oltre ad essere immorale, è anche illegale, ed è perseguibile per legge anche se a condurre i figli ai deprogrammatori sono gli stessi genitori. In sintesi, questi sono alcuni effetti di questa pratica, tratti dalle risposte di una giovane fedele della Chiesa di Shincheonj a una mia intervista.

Primo effetto: Distruzione dei legami familiari

La giovane Ms. Bae Gyun Hee ha subito due tentativi fallimentari di deprogrammazione, il  primo durato 3 giorni e il secondo 15 giorni,  ad opera del pastore della Chiesa di Sae Hak Jang e di sua moglie. La giovane è stata tratta in salvo dopo l’intervento delle forze dell’ordine e della Chiesa di Shincheonj.

Nell’intervista la giovane ripercorre i momenti delle deprogrammazioni in modo puntuale e preciso, poiché, come lei stessa dice, il ricordo del trauma subito a distanza di anni è rimasto vivo nella sua memoria, accompagnato da emozioni ancora forti che rivive ancora, come avviene in seguito a qualsiasi trauma.

Nel caso specifico della deprogrammazione, come ho potuto constatare nei miei studi e anche grazie ad alcune interviste che ho realizzato con giovani deprogrammati di diversi gruppi religiosi, la particolarità risiede nel fatto che a provocare il trauma sono gli stessi famigliari istigati, in questo caso, da una coppia di pastori di una chiesa protestante coreana, la Chiesa di Sae Hak Jang.

Come Bae Gyun Hee spiega, con lucidità e profonda costernazione, il suo più grande dolore risiede nel fatto che la fiducia, che prima era alla base dei rapporti nella sua famiglia, è stata distrutta dalla deprogrammazione. I suoi genitori l’hanno ingannata, come avviene sempre in questi casi, le hanno mentito per convincerla ad andare a casa, per poi portarla contro la sua volontà in un Motel e in seguito l’hanno condotta dai deprogrammatori. Perfino il suo tentativo di rifiutare il cibo, pur di non essere sottoposta alla deprogrammazione, non ha avuto successo. La giovane afferma che la prima deprogrammazione “ha lasciato segni indelebili nel cuore dei membri della mia famiglia” e “ha distrutto la loro felicità”. A distanza di anni afferma di sentirsi ancora piena di ansia e frustrata al ricordo della violenza subita. Prima della deprogrammazione Bae Gyun Hee amava e rispettava suo padre come se fosse il suo “migliore amico” col quale passava molto tempo insieme.  Ora non ha più alcuna fiducia in lui.

Come ho potuto verificare anche in altri casi, la convinzione di essere stata tradita dai propri genitori è motivo di grande sofferenza e smarrimento: per questi giovani i genitori cessano all’improvviso di essere punti di riferimento in grado di soddisfare il bisogno di protezione connaturato nel rapporto figlio-genitore, specialmente, come accade spesso, e anche in questo caso, se i genitori, oltre all’inganno, usano anche la forza e la violenza, per costringere i propri figli a sottoporsi alla deprogrammazione.

Secondo effetto: attacco all’integrità personale e ai diritti fondamentali

I due pastori coinvolti in questo caso, come anche negli altri di cui sono a conoscenza, considerano la giovane fedele di Shincheonj come una persona priva di capacità di discernimento, con una mente offuscata dalle tecniche manipolatorie a cui sarebbe stata sottoposta nella chiesa di cui fa parte, e incapace di scegliere il bene per se stessa. Per questi motivi la privazione della libertà personale e dei diritti umani inviolabili sarebbe giustificata dalla situazione contingente e finalizzata al “bene” della persona, secondo quanto stabilito dai genitori e dalla Chiesa di Sae Hak Jang che si occupa di condurre il procedimento a buon fine. In questo, come in tutti i casi di deprogrammazione, la violazione delle convinzioni più intime, delle inclinazioni e dei sentimenti, provoca sofferenze intense che rimangono nei ricordi e negli incubi delle vittime per tutta la vita. Nel caso di Bae Gyun Hee il primo che viola i suoi diritti è il padre, che firma al suo posto una dichiarazione di accordo a sottoporsi alla deprogrammazione. La giovane ricorda il suo senso di sofferenza nel sentire le accuse rivolte alla sua Chiesa di essere un “gruppo di pazzi” e il tentativo di convincerla che non aveva le capacità sufficienti ad autodeterminarsi perché aveva subito il “lavaggio del cervello” da parte del leader.

Terzo effetto: le emozioni legate al trauma permangono nel tempo

Bae Gyun Hee afferma, a distanza di anni, di sentirsi ancora “ansiosa e frustrata quando penso alla deprogrammazione”, prova rabbia soprattutto verso i deprogrammatori che hanno istigato i suoi genitori a rapirla e a portarla da loro. Altre vittime che ho conosciuto riferiscono le stesse emozioni: prima confusione, poi terrore, umiliazione, senso di tradimento, umiliazione e senso di abbandono da parte dei genitori.  Bae Gyun Hee ricorda “la paura per non poter fuggire” e “proteggere se stessa”, la frustrazione e la tristezza legata al comportamento dei suoi genitori che, invece di ascoltare la loro figlia, seguivano le istruzioni dei deprogrammatori.

Nel caso di Bae Gyun Hee,  come in altri simili, la giovane tenta in tutti i modi di sottrarsi alla deprogrammazione, riuscendo alla fine a chiamare la polizia e a liberarsi. La dura contrapposizione, l’accusa verso la Chiesa  di Shincheonj, definita dai deprogrammatori “una setta” dove “tutti i membri sono ingannati e manipolati” e “il leader è un pazzo” provocano nella giovane una estrema difesa del proprio sé e quindi della propria fede. Il tentativo dei pastori di indurre la giovane ad abbandonare la sua religione si scontra con la difesa unilaterale, non solo della propria fede, ma anche della propria identità e individualità, poiché la conversione religiosa è un aspetto fondante e unificante della persona. Prova ne è il fatto che milioni di persone hanno sacrificato la propria vita proprio per non tradire la loro fede.

Quarto effetto: la deprogrammazione ottiene l’effetto opposto a quello voluto

La deprogrammazione non ha avuto alcun successo, la giovane afferma che non c’è stato “alcun cambiamento nei suoi rapporti con la Chiesa di Shincheonji. Anzi, afferma: “la deprogrammazione mi ha convinto che la chiesa di Shincheonji agisce in accordo con i precetti biblici. La Chiesa mi ha invitato ad amare i mie genitori e a perdonarli”. Vivendo secondo i principi della sua Chiesa, Bae Gyun Hee  riesce ad affrontare la situazione con più serenità.

Nonostante il trauma e l’ingiustizia subita la giovane Bae Gyun Hee, grazie agli insegnamenti ricevuti nella sua Chiesa, non coltiva odio e rancore verso i deprogrammatori e i suoi genitori. Questo atteggiamento è molto chiaro nell’appello che lei fa ai deprogrammatori, due pastori della Chiesa cristiana di Sae Hak Jang, alla fine dell’intervista: “La mia famiglia soffre dal 2015. Pensate di aver dimostrato il vostro amore per Dio? Guardate i risultati: la mia famiglia è nel dolore e nella divisione. Da 5 anni la mia famiglia non ha più ritrovato la fiducia reciproca. Istigare le famiglie a deprogrammare i figli per denaro è sbagliato, è contro la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”.

La conclusione dell’intervista è una affermazione che Bae Gyun Hee  fa dopo aver vissuto in prima persona cosa significa essere privati della propria libertà di pensiero, credo e coscienza: “Nessuno può togliere la libertà a un altro”.

Conclusione

La pratica della deprogrammazione è un crimine, una forma grave di istigazione all’odio e alla commissione di reati come quello di rapimento e violenza che rimangono tali anche se commessi da genitori preoccupati per i loro figli. In questo caso specifico, inoltre, tale atto viene perpetrato da due pastori di una chiesa cristiana (Chiesa di Sae Hak Jang) che non violano solo le leggi umane ma anche i basilari principi della fede cristiana.

Questa intervista è stata realizzata per rendere omaggio al coraggio di tanti giovani che sono stati e sono ancora vittime di questo crimine, nella Chiesa di Shincheonji e in altre chiese, e per sollecitare la società civile e tutte le persone che credono nel valore fondamentale della libertà di religione credo e coscienza, affinchè agiscano insieme per denunciare e mettere fine a questo abominio. Il Centro Studi sulla Libertà di religione Credo e Coscienza, è in prima linea per la promozione di questi valori e la difesa delle vittime.