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Rapporto USCIRF: Il movimento antisette e la legislazione religiosa in Russia

COMUNICATI

I Comunicati Stampa del Centro Studi LIREC

Rapporto USCIRF: Il movimento antisette e la legislazione religiosa in Russia

Raffaella Di Marzio

Traduzione italiana del rapporto dell’USCIRF

“Il movimento anti-sette e la legislazione religiosa in Russia e nell’ex Unione Sovietica”

[Nota redazionale: L’USCIRF è una commissione del governo federale degli Stati Uniti d’America, indipendente e bipartisan, istituita nel 1998 con l’International Religious Freedom Act (IRFA). I suoi membri sono nominati dal presidente e dai leader parlamentari di entrambi i partiti politici. Nel luglio 2020 l’USCIRF ha pubblicato questo importante documento firmato da Jason Morton, policy analyst. Per la prima volta, l’ideologia del movimento anti-sette e la sua aggressione alla libertà religiosa, perpetrata in particolare dai gruppi che fanno parte della federazione anti-sette europea FECRIS, è denunciata da un documento ufficiale degli Stati Uniti].

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Alexander Dvorkin (dominio pubblico)

Introduzione

La legislazione sulle religioni in Russia e nei paesi dell’ex Unione Sovietica presenta un panorama complesso e facilmente soggetto a interpretazioni errate o a eccessive semplificazioni. I sostenitori della libertà di religione o di credo in questi territori provano spesso frustrazione a causa dei tentativi di comunicare con i funzionari governativi, i quali asseriscono che le misure discriminatorie adottate mirano a difendere la libertà religiosa e i diritti dell’uomo, oppure che tali misure costituiscono una risposta democratica ai bisogni e alle preoccupazioni dei cittadini. Questo tipo di retorica discende da una specifica esperienza storica che, per essere efficacemente criticata, va prima compresa. Questo rapporto fornisce un contesto e delle raccomandazioni essenziali affinché i sostenitori di una data linea e i decisori politici possano reagire più efficacemente agli abusi contro la libertà di religione o di credo commessi in quell’area. Le soluzioni saranno efficaci nella misura in cui avranno posto come priorità il valore della libertà di religione o di credo ai fini della stabilità sociale, nonché l’informazione circa i fattori che ostacolano la sua attuazione.

Il movimento anti-sette

Già prima che il governo russo vietasse il culto dei Testimoni di Geova nell’aprile del 2017, Alexander Dvorkin, attivista anti-sette russo, svolgeva da anni attività di lobbying perché fossero adottate misure severe contro gruppi spesso da lui definiti “culti totalitari” e “sette distruttive”; i Testimoni di Geova erano in cima alla sua lista. In un’intervista trasmessa dai media di stato poco dopo l’entrata in vigore del divieto, Dvorkin asseriva che il gruppo esercita “un controllo serrato su ogni aspetto della vita dei suoi membri, inclusi perfino i momenti più intimi della vita familiare, dal momento che i coniugi sono obbligati a riferire l’uno riguardo all’altra”. Proprio come ai tempi di Stalin, “Tutti i membri devono controllarsi a vicenda, spiarsi a vicenda”, ha affermato. Dvorkin ritiene che la comunità che si occupa di diritti dell’uomo a livello internazionale, e specialmente coloro che difendono la libertà di religione e di credo, permettano a queste organizzazioni distruttive di fare vittime nella società. Secondo lui, “la lotta per i diritti dell’uomo viene ora soppiantata dalla lotta per i diritti di organizzazioni che violano i diritti dell’uomo”. Vietare il culto dei Testimoni di Geova, dal suo punto di vista, non è stata una violazione delle libertà fondamentali, bensì un’azione essenziale per preservarle.

L’attuale campagna russa contro le sette ha radici diversificate. È un’ipersemplificazione quella di attribuire l’attuale legislazione russa in materia di religione a una vagamente definita “mentalità sovietica” o al desiderio della Chiesa Ortodossa Russa di ottenere l’egemonia spirituale. In realtà, la retorica del “lavaggio del cervello”, del “controllo mentale”, della “zombificazione” e dei “culti totalitari”, impiegata spesso per giustificare misure severissime, attinge a timori che riguardano il passato sovietico e l’assoggettamento dell’individuo a una collettività malevola. E se la Chiesa Ortodossa Russa è stata tra i maggiori sostenitori del movimento anti-sette, esponenti sia dei laici sia del clero non cessano di opporsi ai suoi scopi e metodi.

Sebbene sia il retaggio sovietico sia la Chiesa Ortodossa Russa esercitino notevole influenza, gli attuali modi di considerare le minoranze religiose e di rapportarsi a esse derivano anche da altri fattori, compresi gli sviluppi socio-economici dell’era post-sovietica, il desiderio del regime di Putin di consolidare l’unità nazionale, i timori individuali circa la sicurezza della propria famiglia o, in generale, il cambiamento e le preoccupazioni a livello transnazionale riguardanti il percepito pericolo costituito dai nuovi movimenti religiosi. Il movimento anti-sette, una rete internazionale sostenuta a livello locale dalla Chiesa Ortodossa Russa, dal governo e da cittadini allarmati, mette insieme tutti questi fattori. Il movimento anti-sette comparve in Occidente durante gli anni Settanta e Ottanta, dopo che eventi traumatici come il massacro di Jonestown (1978) suscitarono paure circa la percepita minaccia costituita da gruppi che operavano in segreto. In Francia il movimento trovò terreno fertile nell’ethos laicista della nazione e nell’idea di una lotta storica tra ragione e superstizione. Verso la fine degli anni Novanta e nei primi anni Duemila, uno Stato russo fragile che anelava a farsi stabile e unito fece proprio tale messaggio, alimentando un inasprimento delle azioni contro le minoranze religiose che non è ancora diminuito o terminato.

A sua volta, il modello russo ha avuto sinora un impatto rilevante su altri paesi dell’ex Unione Sovietica, quali il Kazakistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan, dove le idee del movimento anti-sette influenzano sia la legislazione in materia di religione sia le normative in tema di antiterrorismo e di lotta contro l’“estremismo”. In questo contesto il movimento anti-sette continua a condurre un’efficacissima campagna di disinformazione contro le minoranze religiose, che ha conseguenze devastanti per i loro diritti umani. Per trattare in maniera adeguata la continua violazione della libertà religiosa in Russia e in Asia Centrale è essenziale capire la logica di questo movimento e per quali ragioni esso ha una presa tanto salda in quei territori.

La legislazione in materia di religione nell’Unione Sovietica

Contrariamente a ciò che comunemente si crede, l’Unione Sovietica non mise mai fuori legge la religione: piuttosto, la normò. Sia il filosofo Karl Marx che Vladimir Lenin, fondatore dell’Unione Sovietica, erano convinti che le antiche credenze avessero origine dalla sofferenza umana e che sarebbero semplicemente scomparse man mano che la realizzazione del comunismo le avesse rese del tutto non necessarie. Tuttavia, allorché la Rivoluzione russa si evolveva trasformandosi in guerra civile e in carestia, l’ostilità sovietica nei confronti della religione in generale, e della Chiesa Ortodossa Russa in particolare, si intensificò. Le campagne antireligiose accelerarono nel corso degli anni Venti, raggiungendo il culmine nel 1929 con una Legge sulle Associazioni Religiose che fece da modello quanto alla legislazione in materia di religione per il resto della storia sovietica, e anche oltre. La legge esigeva che tutti i gruppi religiosi si registrassero presso lo Stato in modo da ottenere uno status legale, rendeva illegale ogni attività religiosa che fosse compiuta al di fuori di una Chiesa riconosciuta, e vietava di dare un’educazione religiosa ai minori o la diffusione di pubblicazioni religiose.

Nel corso della sua esistenza le normative ufficiali dell’Unione Sovietica in materia di religione continuarono a evolversi. Nel 1943, al culmine della Seconda guerra mondiale, Stalin riabilitò la posizione della Chiesa Ortodossa Russa nella società sovietica al fine mettere la popolarità della Chiesa al servizio dello Stato. Alla Chiesa Ortodossa Russa fu consentito di ristabilire la propria gerarchia, che era stata ridotta ai minimi termini, ma da allora in poi lo Stato avrebbe approvato o nominato la maggior parte dei vescovi attraverso il neoistituito Consiglio per gli Affari Religiosi della Chiesa Ortodossa Russa. La Chiesa Ortodossa Russa divenne quasi una religione di Stato, con uno status privilegiato. Altre religioni tradizionali come l’Islam godevano di una posizione simile nelle aree in cui erano prevalenti, e vennero regolate dal Consiglio per gli Affari Religiosi. La religione venne a essere gestita sempre più come indicatore etnico e, se pure soggetta a uno stretto controllo, era portata ad esempio, come prova del presunto rispetto delle diversità del socialismo sovietico. Leggi successive rafforzarono il primato della registrazione legale, delineando con cura i requisiti di titolarità e le attività consentite. In genere i gruppi religiosi registrati erano ritenuti sicuri e persino utili, mentre quelli che, come i Testimoni di Geova, non venivano registrati, oppure rifiutavano di registrarsi, erano ritenuti “nemici dello Stato”.

Durante la fase di stagnazione della precedentemente dinamica economia sovietica, negli anni Sessanta e Settanta, i cittadini sovietici iniziarono a mettere in discussione il loro sistema, e molti si volsero alla religione e alla spiritualità, sia in seno alle fedi tradizionali come il cristianesimo ortodosso sia presso nuovi gruppi una volta sconosciuti in quell’area. Ad esempio, nel 1971 il fondatore del movimento Hare Krishna visitò un “orientalista” moscovita e contribuì a ispirare tra i sovietici ormai disillusi un profondo interesse per il gruppo. Lo Stato tentò di smorzare questa tendenza mediante la propaganda e adottando misure più dure, ma essa continuò, e nel 1988 Michail Gorbačëv, l’ultimo leader dell’Unione Sovietica, abbracciò simbolicamente la Chiesa Ortodossa Russa consentendo una celebrazione di massa dell’anniversario dei mille anni dalla fondazione della Chiesa. Nel settembre del 1990 l’Unione Sovietica pose ufficialmente fine alla politica di promozione dell’ateismo di stato e approvò una legge sorprendentemente tollerante sulla libertà di coscienza, in un momento in cui le persone “affluivano nella Chiesa in gran numero”. Un mese dopo, la Repubblica Sovietica Russa emanò una legge sulla libertà di culto che garantì a tutti la libertà religiosa.

Questa legge informò la politica ufficiale nei confronti della religione in Russia per larga parte degli anni Novanta, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Il crollo dell’Unione fu accompagnato da un crollo ancor più drammatico, quello delle economie e delle società post-sovietiche, dato che le risorse appartenute allo Stato furono monopolizzate da alcuni privati, e il cittadino medio vide scomparire redditi e pensioni. Al contempo, l’interesse per la religione, limitato durante il tardo periodo sovietico, crebbe a dismisura, allorché i cittadini attanagliati dai problemi ricercavano stabilità e rassicurazioni. Nel 1991 i Testimoni di Geova acquisirono lo status legale, e la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, che nel 1991 contava solo 300 membri, all’inizio del 1993 era cresciuta fino a contare 2.000 fedeli. Benché la maggior parte della società rimanesse composta da non credenti, la maggioranza dei gruppi religiosi assistette a una fortissima crescita in termini di fedeli; si trattò in particolare di nuovi movimenti religiosi quali la Chiesa di Scientology, la Chiesa dell’Unificazione e l’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna. Sensitivi e guaritori religiosi divennero icone televisive. Nel 1992, un uomo che asseriva di essere Gesù Cristo si trasferì in Siberia con 5.000 suoi seguaci e fondò la prima di molte comunità, che crebbero di numero.

La crescita del pluralismo religioso fu un fattore di particolare allarme per la Chiesa Ortodossa Russa, la quale, nonostante lo status privilegiato di cui aveva goduto nell’Unione Sovietica, aveva anche sofferto a causa del regime ateo. Nel 1996, lo stesso anno in cui venne presentata alla Duma russa la legge sulla religione, il futuro patriarca Cirillo si lamentava dell’“invasione delle organizzazioni missionarie” con budget da molti milioni di dollari che combattevano la Chiesa Ortodossa Russa come “pugili su un ring, con i loro muscoli pompati”, e che “impiegavano le loro risorse economiche al massimo grado per comprare la gente”.

Alexander Dvorkin e il movimento anti-sette russo

Alexander Dvorkin, originario di Mosca, lasciò l’Unione Sovietica nel 1977 all’età di 20 anni per studiare negli Stati Uniti, dove rimase fino al 1992. Mentre si trovava negli Stati Uniti ha abbracciato il cristianesimo ortodosso russo e ha lavorato per un periodo presso Voice of America, organo di stampa patrocinato dal governo statunitense. Gli anni di permanenza nel Paese hanno coinciso con lo svilupparsi di un crescente movimento anti-sette fondato su nozioni pseudoscientifiche come il “lavaggio del cervello” e il “controllo mentale”, e sulle teorie dello psicologo Robert Jay Lifton e dell’attivista anticomunista Edward Hunter. Questo movimento ha descritto i nuovi movimenti religiosi come “fanatici” o “bizzarri”, e ha dipinto i singoli membri come vittime inermi, senza volontà propria o senza la capacità di salvaguardare sé stessi. Tale retorica ha permesso a gruppi di persone di giustificare la rimozione forzata di amici e parenti dalla religione che avevano scelto, sostenendo persino pratiche di “deprogrammazione” che impiegavano tecniche psicologiche coercitive (e altamente discutibili).

Quando nel 1992 si ritrasferì in Russia, ora Stato indipendente, per lavorare al nuovo Dipartimento dell’Educazione Religiosa della Chiesa Ortodossa Russa, Dvorkin portò con sé molte idee anti-sette. È giunto a Mosca con un titolo di dottorato in studi medievali e ha iniziato a organizzare un movimento anti-sette russo, che si è presto guadagnato una largo sostegno da parte di cittadini russi allarmati dall’improvviso mutamento nelle norme sociali. Agli occhi di molti russi qualsiasi religione appariva come una cosa strana, e in particolar modo lo sembravano i nuovi movimenti religiosi, specialmente se amici o familiari si erano uniti a uno di questi gruppi. Nel 1993 Dvorkin ha fondato il Centro d’informazione e consulenza Sant’Ireneo di Lione (SILIC) sotto gli auspici della Chiesa Ortodossa Russa e con la benedizione dell’allora patriarca Alessio II. Quasi 30 anni dopo, il SILIC resta il centro da cui viene condotta la propaganda del movimento anti-sette in Russia e cura un database online relativo ai nuovi movimenti religiosi, come pure un archivio di testi.

Dvorkin ha da tempo fornito al movimento anti-sette una patina di credibilità intellettuale. Dal 1999 insegna lo “studio delle sette” all’università russo-ortodossa di San Tichon; ciò nonostante, la sua laurea in studi medievali non fornisce alcuna preparazione accademica quanto agli studi religiosi o alle nozioni sociologiche e psicologiche su cui spesso egli dichiara di fondarsi. In un seminario del 1993 pare abbia coniato il termine “setta totalitaria” (o “culto totalitario”), concetto che in effetti mette insieme le idee anti-sette dell’Occidente e il contesto post-sovietico, in cui l’ansietà circa il ritorno del passato stalinista si è trovata a competere con i timori circa l’instabilità del presente. I “culti totalitari”, spiegava Dvorkin, sarebbero “organizzazioni autoritarie i cui capi lottano per dominare e sfruttare i propri seguaci” mediante una varietà di ingannevoli “maschere”. Ha paragonato tali capi a Hitler e Lenin, ha messo sullo stesso livello le comunità religiose e i gulag di Stalin, e ha affermato che i nuovi movimenti religiosi hanno più cose in comune con i regimi politici totalitari che con le religioni “vere” come la Chiesa Ortodossa Russa.

Questo gergo, insieme con altri termini favoriti quali “setta distruttiva” o il prefisso “pseudo” (come in “pseudo-cristianesimo” o “pseudo-religione”), rivela l’aspirazione del movimento anti-sette a ergersi quale arbitro ultimo della verità religiosa. Ad esempio, in un’intervista Dvorkin ha asserito che i Testimoni di Geova “non possono in realtà essere definiti una setta religiosa” ma sono in effetti “un culto commerciale organizzato secondo uno schema piramidale la cui sussistenza dipende dalla vendita delle proprie pubblicazioni e dei propri prodotti multimediali”. Dal presumere di poter definire la verità religiosa all’affermare un dovere di intervenire in casi di eresia, il passo è breve.

La normativa russa in materia di religione

Il 26 settembre 1997, nella Federazione Russa entrò in vigore la legge federale n. 125-FZ sulla Libertà di coscienza e le associazioni religiose, la quale pose fine alla tolleranza con cui lo Stato trattava le minoranze religiose e introdusse regolamenti basati sulla precedente politica sovietica. La legge esigeva che da quel momento in poi, per esistere, tutti i gruppi religiosi ottenessero una registrazione legale da parte dello Stato. La procedura, difficoltosa, esigeva che tutti i richiedenti fornissero i nominativi e i dati personali dei membri fondatori (i quali dovevano essere tutti cittadini russi), consegnassero i documenti attestanti la fondazione del gruppo e le pubblicazioni religiose, e dessero prova che l’organizzazione era presente sul territorio russo da almeno 15 anni. Molte minoranze religiose tentarono strenuamente di registrarsi, entro un sistema che poteva rinviare o negare la loro richiesta mediante una congerie di meccanismi burocratici.

La legge, in realtà, era stata ideata per favorire le religioni consolidate e limitare la diffusione dei nuovi movimenti religiosi. Il preambolo riconosceva “il ruolo speciale dell’Ortodossia nella storia della Russia, e nell’istituzione e nello sviluppo delle sue spiritualità e cultura”, come anche il ruolo delle religioni tradizionali come l’Islam, il buddismo e l’ebraismo, le quali costituivano “parte integrante del retaggio storico dei popoli della Russia”.

La Chiesa Ortodossa Russa, il movimento anti-sette, e Dvorkin in particolare, avevano svolto un’intensa attività di pressione sui loro sostenitori, mobilitandoli affinché spingessero per la promulgazione della legge. Le idee di Dvorkin riguardo alla necessità di salvare gli inermi connazionali dalle spire delle “sette totalitarie” mediante regolamenti religiosi repressivi trovò degli alleati in un governo che era ansioso di riaffermare il proprio controllo sulla società. Inoltre, l’avvento di Vladimir Putin come presidente della Russia e del suo partito Russia Unita a cavallo del secolo XXI ebbe l’effetto di accrescere l’influenza di Dvorkin. L’immagine di Putin si fondava sul proposito di porre fine al caos degli anni Novanta (periodo in cui erano fioriti i nuovi movimenti religiosi) e di creare unità e stabilità. Nel suo Programma di sicurezza nazionale russa per il 2000, Putin affermava che “la protezione del retaggio culturale, spirituale e morale, delle tradizioni storiche e delle norme della vita sociale” era una questione di sicurezza nazionale, e si esprimeva a sostegno della “creazione di politiche governative nel campo dell’educazione spirituale e morale del popolo”.

Da allora, l’amministrazione Putin ha implementato questa politica di “sicurezza spirituale” al punto da attuare una compressione costante della sfera morale/spirituale, ricomprese nell’ambito della guerra globale contro il terrore. In effetti la Russia ha affrontato una reale minaccia da parte del terrorismo islamico, ma le leggi che ha adottato vanno ben oltre ciò che attiene all’antiterrorismo. Nel 2002 in Russia è entrata in vigore la “Legge sulla lotta alle attività estremistiche”, la quale non contiene alcuna chiara definizione di “estremismo” e consente di perseguire l’“incitamento all’odio sociale, razziale, etnico o religioso” o la “propaganda che dichiara l’esclusività, la superiorità o l’inferiorità di una persona sulla base della sua identità sociale, razziale, etnica, religiosa o linguistica o del suo rapporto con la religione”. Uno studio del 2012 del SOVA Information Center ha rilevato che le organizzazioni religiose costituivano la maggioranza dei soggetti accusati sulla base di questa legge.

L’influenza di Dvorkin a livello ufficiale è aumentata in modo significativo verso la fine degli anni 2000. Nel 2009 è stato nominato capo del Consiglio di Esperti del governo, cui è stato affidato il monitoraggio delle attività religiose e l’approvazione delle registrazioni legali. Il Consiglio è stato creato nel 1998 per favorire l’applicazione della legge del 1997. La legge emendata del 18 febbraio 2009 ha ampliato il campo d’azione del Consiglio, dandogli autorità sull’attività, la struttura e i contenuti religiosi delle organizzazioni registrate, insieme con la sovrintendenza della procedura di registrazione. Questi sviluppi fecero sì che la Commissione statunitense sulla libertà religiosa internazionale (USCIRF), che dal 1999 monitora le condizioni della libertà religiosa in Russia e produce informative al riguardo, inserisse per la prima volta la Russia nella sua Watch List dei trasgressori gravi della libertà religiosa nel 2009.

La retorica del movimento anti-sette e lo Stato russo hanno trovato una notevole convergenza nel decennio successivo. Facendo riecheggiare le preoccupazioni di Putin riguardo alla sicurezza spirituale e morale, nel 2007 Dvorkin ha affermato che i nuovi movimenti religiosi, deliberatamente, “causano un danno ai sentimenti patriottici russi”. Nel 2010 ha tenuto per gli studenti una lezione dal titolo “Le sette totalitarie come minaccia alla sicurezza nazionale” presso l’Istituto dell’Ufficio di Sicurezza Federale (FSB), il principale successore del KGB sovietico. Nel 2012 Putin ha affermato che le “sette totalitarie” stavano “spuntando come funghi”, e “rappresenta[vano] una chiara minaccia per la società” che doveva essere gestita dai meccanismi legali sia a livello locale che federale.

Nel luglio 2016 il governo russo ha adottato un pacchetto di emendamenti, comunemente noti come Leggi Yarovaya, che ha aumentato significativamente il raggio d’azione e le pene relative alle leggi precedenti in tema di religione e di anti-estremismo. La legge definisce il condividere la propria fede religiosa, o l’invitare qualcuno alle funzioni religiose, come attività missionaria illegale se ciò ha luogo al di fuori degli spazi ufficialmente registrati (compreso se ciò avviene in case private o su Internet). La legge dà al governo la facoltà di monitorare le comunicazioni private che avvengono per via elettronica, secondo ciò che alcuni osservatori hanno definito una diretta “eco [dei] poteri indiscriminati esercitati dal KGB”.

Il 20 aprile del 2017 i Testimoni di Geova sono stati la prima religione a essere interamente proscritta in tutta la Russia, sulla base dell’accusa di essere un’“organizzazione estremista”. Quello stesso anno, l’USCIRF ha raccomandato che la Russia fosse designata dal Dipartimento di Stato come “Paese che desta particolare preoccupazione” (CPC) in relazione all’International Religious Freedom Act del 1998, in quanto annoverata tra i peggiori trasgressori della libertà religiosa a livello mondiale. Da allora, centinaia di testimoni di Geova subiscono incursioni nelle loro case, inchieste, carcerazioni e persino torture. In una dichiarazione alla stampa un giorno dopo la proscrizione, Dvorkin e il movimento anti-sette hanno salutato con soddisfazione la decisione, definendola “un passo significativo verso la difesa dei diritti di tutti i cittadini della Russia e dell’ex Unione Sovietica”.

Dvorkin continua a detenere un ruolo da leader rispetto al Consiglio di Esperti incaricato di sovrintendere alle registrazioni ufficiali in Russia, e continua anche a prendere di mira le minoranze religiose nei suoi discorsi e articoli. Nel 2018, Guru Ji, una guida spirituale indù che vive in Russia da decenni, ha accusato Dvorkin e i suoi seguaci di condurre da anni un’intensa campagna vessatoria contro di lui. L’attenzione di Dvorkin nei confronti di Guru Ji si è infine concretata, nel novembre 2017, in un’irruzione della polizia nell’abitazione e nel centro spirituale di quest’ultimo, durante la quale sono stati sequestrati documenti privati e computer. Guru Ji ha dichiarato che un agente gli ha riferito che non era il benvenuto in Russia, Paese cristiano ortodosso.

L’influenza di Dvorkin si è anche estesa al di fuori dell’orbita post-sovietica. Nel 2009, lo stesso anno in cui è stato nominato capo del Consiglio russo di Esperti, è anche diventato vicepresidente della Federazione europea dei centri di ricerca e di informazione sul settarismo (FECRIS), un’organizzazione anti-sette francese che esercita un’influenza paneuropea. I fondi della FECRIS provengono per la maggior parte dal governo francese, e il gruppo fa regolarmente propaganda negativa circa le minoranze religiose, anche a forum internazionali come la conferenza annuale sulla Dimensioni Umane organizzata dall’OSCE. Il SILIC di Dvorkin costituisce il primo affiliato della FECRIS in Russia, e riceve un significativo sostegno economico sia dalla Chiesa Ortodossa Russa che dal governo russo.

L’esportazione dell’intolleranza in Ucraina

Quando invase la Crimea, nel 2014, la Russia vi introdusse il suo impianto restrittivo della legislazione in tema di religione, inclusa la simbiosi tra idee anti-sette e sicurezza nazionale. Il regime di occupazione in Ucraina ha spesso impiegato le normative in tema di religione per terrorizzare la popolazione in generale, nonché per prendere di mira gli attivisti della comunità tatara di Crimea, la maggioranza dei quali è musulmana, e accusarli di estremismo e terrorismo. Con tali accuse le autorità di occupazione arrestano regolarmente tatari di Crimea, di solito per la loro presunta adesione alle organizzazioni Tablighi Jamaat (JT) o a Hizb ut-Tahrir (HT), entrambe legali in Ucraina ma proscritte in Russia. Nella Federazione Russa la presunta appartenenza all’HT è spesso addotta come motivazione sufficiente a muovere accuse di terrorismo, anche senza che vi siano le prove di alcuna violenza reale o programmata. Il solo fatto di riunirsi per pregare e per discutere della filosofia islamica può portare a condanne a diversi anni di carcere.

In Crimea le persone accusate di tali fatti sono spesso membri attivi dell’opposizione politica. Il 27 marzo 2019, le autorità hanno condotto massicce incursioni nella capitale Simferopoli. Agenti della sicurezza armati fino ai denti hanno isolato e preso d’assalto alcune abitazioni, infrangendone porte e finestre. Hanno sequestrato apparati informatici, cellulari, tablet, chiavi USB e pubblicazioni islamiche. Le autorità hanno arrestato 24 tatari di Crimea accusandoli di appartenere all’HT e di terrorismo. Tutti gli accusati erano stati attivisti o affiliati di Solidarietà in Crimea [Krymska Solidarnist], un gruppo pro-diritti umani non a carattere religioso che si oppone all’occupazione russa.

Il Crimean Human Rights Group afferma che almeno 65 tatari di Crimea di fede musulmana sono stati così privati della libertà. In taluni casi, ciò si sostanzia in un breve periodo di detenzione, in multe o nell’applicazione della libertà vigilata. Ma in molti casi le pene sono severe. Ad esempio, il 12 novembre 2019, sei tatari di Crimea sono stati condannati a pene che vanno dai 7 ai 19 anni per presunta appartenenza all’HT.

Sin dall’invasione russa, la comunità musulmana nella Crimea occupata in generale è sottoposta a continue vessazioni. I cittadini riferiscono che ad alcune moschee viene tolta l’elettricità appena prima del Ramadan e che le comunità che le sostengono devono pagare tangenti alle autorità locali perché l’energia elettrica sia ripristinata in tempo per le celebrazioni. Ai musulmani non è consentito osservare feste come il Ramadan senza aver ottenuto permessi ufficiali, che vengono spesso negati o non vengono rilasciati senza il pagamento di una tangente. Le autorità di occupazione hanno installato videocamere in alcune moschee in tutta la regione, e tutte le comunità riferiscono di essere sotto costante sorveglianza e di subire incursioni frequenti.

Anche la Chiesa Ortodossa dell’Ucraina è costantemente presa di mira perché si crede sia legata al nazionalismo ucraino. Il 28 giugno 2019, ad esempio, le autorità di occupazione hanno sequestrato e chiuso la Cattedrale di Vladimir e Olga a Simferopoli, che è la principale cattedrale e la sede della Chiesa Ortodossa d’Ucraina in Crimea. Nel momento della sua chiusura la chiesa era l’unico edificio della Chiesa Ortodossa d’Ucraina ancora operante nella penisola. Alcuni membri riferiscono che, a partire dall’occupazione, la Chiesa Ortodossa d’Ucraina ha subito una persecuzione sistematica, incluse la confisca di beni ecclesiastici e le vessazioni nei confronti del clero e dei fedeli.

Implicazioni che riguardano la regione dell’Asia Centrale

Il ritorno della Federazione Russa a una legislazione religiosa di matrice sovietica ha avuto ripercussioni in molti paesi dell’ex Unione Sovietica. Questo è vero in particolare per l’Asia Centrale, dove la transizione alla democrazia liberale ha avuto il minor indice di successo e dove i funzionari temono l’influenza di ideologie islamiste violente sulle popolazioni musulmane. Eppure, è provato che tale pericolo è stato ampiamente sopravvalutato: i livelli di reclutamento nei paesi dell’Asia Centrale sono stati relativamente bassi, così come si sono avuti pochi casi di terrorismo interno. Il basso numero di attacchi tende ad avere come obiettivo i servizi di sicurezza e i funzionari governativi anziché a terrorizzare la popolazione.

Nel 1998, sette anni dopo aver ottenuto l’indipendenza, l’Uzbekistan ha emanato una legge simile a quella russa del 1997, che rende obbligatoria la registrazione per tutti i gruppi religiosi, vieta il proselitismo e l’impartire istruzione religiosa a livello privato, e punisce chiunque non si assoggetti alle irruzioni della polizia, alle multe, agli arresti e alle carcerazioni. Nel 2009, lo stesso anno in cui la Russia ha ampliato il ruolo del Consiglio di Esperti, il Tagikistan ha emanato la propria Legge sulla libertà di coscienza e le unioni religiose, la quale: stabiliva requisiti gravosi per l’ottenimento della registrazione; rendeva penalmente perseguibili le attività religiose non registrate, l’impartire istruzione religiosa a livello privato e il proselitismo; poneva limiti severi al numero e alle dimensioni delle moschee; consentiva allo Stato di interferire nella nomina degli imam e nei contenuti dei sermoni; esigeva che per poter fornire istruzione a carattere religioso e comunicare con fedeli stranieri le organizzazioni religiose richiedessero permessi ufficiali; e imponeva il controllo di Stato sui contenuti, la pubblicazione e l’importazione di materiale religioso. Nel 2011 e nel 2012 il Tagikistan ha ulteriormente emendato il proprio codice amministrativo e penale stabilendo nuove pene, incluse multe di grossa entità e sentenze di carcerazione per accuse legate ad attività religiose quali l’organizzazione di riunioni religiose “non approvate” o la partecipazione a esse; e una legge del 2011 sulla responsabilità genitoriale ha impedito ai minori di partecipare ad ogni attività religiosa organizzata, ad eccezione dei funerali.

Prima dell’entrata in vigore della legge sulla religione del 2011, rispetto alla libertà di culto o di fede il Kazakistan si era dimostrato uno dei meno repressivi tra gli Stati dell’Asia Centrale che hanno fatto parte dell’Unione Sovietica. La legge sulla religione, però, stabiliva dei severi requisiti per la registrazione, richiedendo per essa che vi fosse un alto numero di fedeli, e vietava o limitava le attività religiose non registrate, assoggettando allo stesso tempo i gruppi religiosi alla sorveglianza della polizia o della polizia segreta. Per via dei requisiti per la registrazione così stabiliti, il numero complessivo dei gruppi religiosi registrati scese considerevolmente dopo il 2011; ciò avvenne in modo particolare nel caso dei gruppi religiosi “non tradizionali”, che da 48 scesero a 16. Sebbene la legge sulla religione consideri tutte le religioni su base egualitaria, il suo preambolo, specificamente, “riconosce il ruolo storico dell’Islam hanafita e del cristianesimo ortodosso”, reiterando il preambolo della legislazione russa del 1997.

Questo modello di emulazione legislativa è probabilmente dovuto a un certo grado di influenza diretta esercitata dalla Russia in materia di sicurezza territoriale. La Russia ha mantenuto un’influenza significativa in quella sfera, fornendo addestramento e strumenti per i servizi militari e di sicurezza e intervenendo nei conflitti locali. Ma i leader dell’Asia Centrale non hanno davvero avuto bisogno d’essere persuasi in tal senso; essi erano, per la maggior parte, ex funzionari sovietici. In effetti, lo Stato neostalinista del Turkmenistan, il più repressivo nella compagine dell’ex Unione Sovietica, emanò la prima legge che normava il culto nel 1996, mentre la legge russa era ancora in fase di gestazione. Similmente, la proscrizione attuata dalla Russia nel 2003 nei confronti dell’HT è stata influenzata dal governo uzbeco, e il Tagikistan ha proscritto i Testimoni di Geova nel 2008, quasi un decennio prima della Russia. L’evoluzione del concetto di “sicurezza spirituale” entro l’ex Unione Sovietica ha caratteristiche simbiotiche. Il comune denominatore tra questi Paesi è stato il desiderio, condiviso, di ottenere stabilità dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che tutti hanno subìto sotto forma di catastrofe socioeconomica, e l’ascesa del terrorismo islamico. La retorica del movimento russo anti-sette, o la guerra globale contro il terrore, contribuisce a far sì che questi governi giustifichino un ritorno alle repressive norme sovietiche e si distanzino al contempo da tale passato problematico.

In paesi come il Tagikistan e il Turkmenistan, che confinano in parte con l’Afghanistan, viene prestata più attenzione all’Islam radicale anziché ai nuovi movimenti religiosi, ma la logica della repressione religiosa è affine a quella che sottende al movimento russo anti-sette. La forma tradizionale dell’Islam hanafita è consentita, ma è fortemente regolata dallo Stato. Altre forme di Islam che hanno origine nel Medio Oriente o nel subcontinente indiano sono considerate innovazioni “non tradizionali” e indesiderate. I seguaci del salafismo, o del movimento missionario Tablighi Jamaat, sono visti come invasori ostili che approfittano dell’ignoranza spirituale causata dal comunismo sovietico. Lo Stato interviene spesso per “proteggere” il popolo; ad esempio vietando l’importazione e la vendita di abiti provenienti da una “cultura nazionale straniera”, come ha fatto di recente il Tagikistan in uno sforzo atto a combattere l’uso dello hijab.

Il movimento anti-sette è particolarmente forte in Kazakistan, l’unico stato dell’Asia Centrale che ha un numero significativo di persone di etnia russa e nel quale, di conseguenza, la Chiesa Ortodossa Russa è presente in misura influente. Elena Burova, “esperta” incaricata a livello ufficiale di sovrintendere alla registrazione delle religioni in Kazakistan, afferma che le “organizzazioni totalitarie” si riconoscono facilmente per la loro “rigida struttura mafioso-partitica” e per avere capi infallibili (qui impiega il termine vožd, che era comunemente usato per Stalin). Accusa questi gruppi di attuare una serie di tecniche psicologiche nefande, compreso l’impiego di narcotici, e di privare i loro aderenti della personalità fino a trasformarli in una “minaccia” all’“ordine sociale e costituzionale del paese”.

In una pagina web, ora eliminata, del governo kazaco, la Burova spiegava in che modo i gruppi religiosi usino tecniche di “programmazione” e di “zombificazione” per irretire i giovani che hanno problemi psicologici e metterli contro la famiglia e la società. Per combattere questa minaccia, il governo sovvenziona centri “anti-sette” che diffondono in tutto il paese informazioni sui pericoli di questi gruppi, e attraverso programmi televisivi d’informazione, come quello trasmesso nel giugno 2019, caratterizza le minoranze religiose nei termini sostenuti dal governo, ossia come “pseudo-religioni” “distruttive”. Il governo sostiene anche dei “centri di riabilitazione” che asseriscono di riuscire a deprogrammare le vittime mettendo in pratica un insieme di metodi psicologici, teologici e pedagogici. Il primo di questi centri è stato fondato nel 2007 con il sostegno di Alexander Dvorkin e del movimento anti-sette russo.

Conclusioni

Il movimento anti-sette ha avuto e ha ancora un impatto eccezionale sulla legislazione dell’ex Unione Sovietica in materia religiosa; ha contribuito a modificare la tipologia dei timori della Chiesa Ortodossa Russa circa la diffusione dei nuovi movimenti religiosi, e ha altresì contribuito all’adozione di un approccio territoriale alla questione della cosiddetta “sicurezza spirituale”. Esso attinge alle paure relative al comune passato totalitario per giustificare l’imposizione di normative repressive che ne derivano, calpestando i diritti fondamentali e asserendo al contempo di difenderli. Alexander Dvorkin e i suoi associati si sono ritagliati ruoli influenti nel governo e nella società, influenzando in numerosi Paesi l’opinione pubblica in tema di religione. Pur asserendo di essere esperti in campi accademici quali gli studi religiosi, la psicologia e la sociologia, raramente sono qualificati per occuparsi di qualsiasi ambito di questo tipo, e spesso si basano su teorie e metodologie ormai screditate per portare avanti i loro disegni ideologici.

Il rilievo ufficiale acquisito dal movimento anti-sette ha coinciso con la fortuna della Chiesa Ortodossa Russa a livello ufficiale, e verosimilmente ha contribuito a facilitarla. Ma Dvorkin e i suoi associati non hanno il monopolio del pensiero e dell’opinione ortodossi, e all’interno della Chiesa voci contrarie hanno criticato il movimento anti-sette per il fatto di basarsi su teorie screditate e fonti non canoniche. Il movimento anti-sette è fondamentalmente un organo di propaganda che ingaggia una guerra d’informazione molto efficace contro le minoranze religiose in tutta la Russia e in molti dei Paesi nei quali esercita influenza. Un’efficace risposta al movimento deve similmente concretizzarsi a livello dell’informazione, controbattendo la logica perversa della propaganda anti-sette mediante prove concrete circa la sua mancanza di credibilità e la sua complicità nella soppressione della libertà religiosa.

Le politiche del governo degli Stati Uniti circa la libertà religiosa internazionale nei confronti della Russia e dell’Asia Centrale tengono conto dei crescenti timori riguardanti la repressione religiosa, incluso il modo in cui vengono trattati i membri dei nuovi movimenti religiosi. Nel settembre 2019 il Dipartimento di Stato americano ha imposto delle restrizioni sui visti di due funzionari russi provenienti da Surgut a causa del loro coinvolgimento nelle torture e nei trattamenti disumani operati contro i Testimoni di Geova da loro tenuti in prigionia, e ha fatto appello al governo russo affinché si cessasse di perseguitare il gruppo. Di nuovo, a dicembre, il Dipartimento di Stato ha incluso il Tagikistan e il Turkmenistan tra i Paesi che destano particolare preoccupazione, e ha incluso l’Uzbekistan nella sua Special Watch List. Al contempo il Dipartimento di Stato ha incluso anche la Russia nella Lista, senza operare alcuna designazione per il Kazakistan. Nel suo rapporto annuale del 2020, l’USCIRF ha raccomandato che la Russia, il Tagikistan e il Turkmenistan fossero designati come Paesi che destano particolare preoccupazione, e che il Kazakistan e l’Uzbekistan fossero inclusi nella Special Watch List del Dipartimento di Stato per il 2020.

RACCOMANDAZIONI

Il governo degli Stati Uniti dovrebbe:

·      condannare pubblicamente Alexander Dvorkin e Centro d’informazione e consulenza Sant’Ireneo di Lione (SILIC) per la loro costante campagna di disinformazione contro le minoranze religiose:

·      promuovere l’educazione alla libertà di religione o di credo nell’ambito della diplomazia territoriale e fornire formazione e risorse come parte dell’assistenza umanitaria a livello territoriale;

·      combattere la propaganda contro i nuovi movimenti religiosi diffusa dalla Federazione europea dei centri di ricerca e di informazione sul settarismo (FECRIS) all’annuale conferenza sulle Dimensioni Umane dell’OSCE, condividendo informazioni che riguardino il costante coinvolgimento di singoli individui e di enti, che operano come parte del movimento anti-sette, nella soppressione della libertà religiosa;

·      fare pressione sui governi della Russia e del Kazakistan perché rimuovano dai propri consigli di esperti le figure di spicco del movimento anti-sette e impediscano loro di accedere a ruoli ufficiali che comportino l’esercizio di un’influenza sulla legislazione in materia di religione.

Il Congresso degli Stati Uniti dovrebbe:

·       approvare l’Ukraine Religious Freedom Support Act (H.R. 5408), il quale determina che, al momento di decidere quali paesi siano da includere fra quelli che “destano particolare preoccupazione” secondo l’International Religious Freedom Act del 1998 (IRFA) il Presidente consideri le violazioni della Russia relative alla libertà religiosa compiute nella Crimea occupata dai russi e nel Donbass sotto controllo russo.